"Sii Tu per primo il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo ." Gandhi
" La democrazia consiste nella partecipazione attiva alle decisioni concernenti i beni pubblici,oppure essa non e' niente ."
H. Arendt


Scritti da Voci Attive II

In prima persona: Voci di Voci Attive


NB: I contributi  sono disposti in ordine cronologico di pubblicazione.

1  Note storico teoriche sull'idea della decrescita. prof A. Basile
2  La decrescita per il governo della citta'. prof A. Basile
3  Etica e Politica. prof A. Baccarella
4  Messaggi in bottiglia. Mario. Guglielmino
5  MANIFESTO POLITICO PROGRAMMATICO - VOCI ATTIVE
6  Commenti in progress:Voci Critiche
    Un commento critico    intorno alla bozza di   manifesto 
    Intervento del dr G Salemi  (14 10 2011)
7  Partecipare,DArio Fo e  l'esempio di Milano.  Prof  A.  CArroccio
                                                                              ( interv del 15 10 2011)
8  Breve storia in 60 "  di Voci Attive  (22 10 2011).Da   redazione Voci attive
9  Vivere di netiquette .  di Mario  Guglielmino
10  Ultime  dalla  politica  .  La  redazione  di Voci  attive ( 30 10 11)
11 Note  sul  bilancio  partecipativo.A  cura  del  dr Vincenzo Raieli
12  Schierarsi  senza  de-finirsi .  di   MArio  Guglielmino-redazione Voci Attive
13  Un siparietto  da  Cena  delle  Ceneri.  da Voci ATtive
14  WELFARE  :tutto  ..o  quasi  .a  cura  del  prof  Angelo  Baccarella  4 /12/2011


                  
Breve  storia di Voci Attive  in 60": i primi anni ,dal 2009 al 2012


VOci Attive nasce   da un’idea e una  proposta di Vito Restivo.

Tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 sulla spinta  dell’indignazione popolare causata
dalla  dis-amministrazione di questa nostra citta’ ,Vito Restivo  pensa di convocare e riunire  attorno a un tavolo  vecchi  e nuovi amici e compagni  di cammino  per discutere e provare ad analizzare  la situazione .

Similes cum similibus congregantur.

Tutti semplici cittadini.
La compagine da subito si ritrova in naturale sintonia  e si dimostra coesa e ispirata dagli stessi principi   e ideali ,sostenuta  non a caso dai trascorsi  comuni  percorsi formativi e di vita  affrontati .
Molti di noi sono gia’ da lungo tempo responsabili,animatori,partecipi,promotori  di percorsi di movimento o  associazione,volontari in ambito sociale assistenziale  con esperienze sia in Italia che all’estero.

 Inoltre  molti di noi  per ragioni di  lavoro e per l’ impegno profuso sono  portatori ed espressione  di  un ricco tessuto  di relazioni umane .

Tra  noi  un piccolo e variegato universo sociale.
Siamo insegnanti,educatori,medici,infermieri,professionisti,imprenditori (anche  di se’ stessi),funzionari e impiegati della  pubblica  amministrazione ,professori universitari,professionisti e tecnici  del  settore  privato,di grandi e piccole  imprese,in tutto  occupati e non.
.E poi  anche  papa’ e mamme ,che vivono la responsabilita’ quotidiana del loro compito .

Il gruppo  pensa percio’ di continuare a  incontrarsi piu’ volte per riflettere  positivamente e  costruttivamente sul “da farsi” e  innanzitutto per  capire.

Iniziano sei mesi di incontri con i principali rappresentanti della vita  politica  e sociale di Palermo e  della  Sicilia.

Anche  importanti testimoni dell’Italia  tutta partecipano a questa  nostra  ricerca di  senso.

Dopo questa  prima  fase si ha il primo  passo  verso la  consapevolezza che la soluzione possibile  al malgoverno consiste essenzialmente nella ri-appropriazione da parte  della  cittadinanza  delle  connaturali  funzioni  di partecipazione civile e politica da troppo  tempo abbandonate a una  forma  di delega passiva e de-responsabilizzante.

In un primo momento  il gruppo collabora con il nascente  Patto per  Palermo ,poi Voci Attive decide di entrare  a  far parte  del  percorso fondativo  dei Movimenti  Civici  Siciliani ,soprattutto con una  fattiva  collaborazione nel delicato periodo della  post  fondazione.
Nel frattempo  Voci Attive organizza,promuove,sostiene  diverse  occasioni  di incontro (dibattiti,conferenze su temi  etico-sociali ,politici )   con la cittadinanza anche  in collaborazione e in  simbiosi con altre importanti associazioni e  con  la  collaborazione e l’invito  di  esperti relatori .
  
Voci Attive si distingue per l’apporto dato in favore  del raggiungimento del quorum per i   referendum 2011 e  per la  scelta  netta  di  sostenere  i quattro  SI  .

In vista  dell’approssimarsi delle elezioni  amministrative Voci Attive  matura  la  scelta  di non  tirarsi indietro e partecipare direttamente alla  vita  politica cittadina.
Voci Attive  ivile e politica .o del 2010 s della  relazione tto per brevi cenni anche  se  non sempre tutti  hanno  potuto partecipare  e  aderisce quindi sin dalla  fondazione al movimento di iniziativa  politica  Palermo Piu’ .

Sono  tante le   occasioni  ove  lungo il percorso  qui descritto per brevi cenni non tutti  hanno  potuto partecipare  e  seguire  poi  da vicino  ogni  attivita’ .MA  la  vicinanza di idee  e  le  fila  della  relazione iniziata e ormai   salda hanno portato  a una  trama  di interesse  comune   di partecipazione  tanti amici  e amiche  che  ci seguono  con affetto e da veri e pieni protagonisti  anche  se non sempre presenti agli eventi.

Grazie  al diffuso riconoscimento  del nostro lavoro ,alla stima  guadagnata nel quotidiano, siamo  certi di essere ormai una  realta’  viva ed operante nel panorama  sociale e politico  palermitano.

                                                           
                                                    da  Voci Attive

         


TESTI

1

Note storico teoriche sull’idea della decrescita
A cura del prof Antonio Basile
Latouche esprime il paradosso che circonda le teorie della decrescita felice: la sensazione di sfondare delle porte aperte e contemporaneamente di predicare nel deserto. Dire infatti che una crescita infinita è incompatibile con il nostro mondo finito e che il nostro stile di vita odierno non è più supportabile a lungo dalle risorse disponibili comincia a diventare una ovvietà; da qui a passare alle conseguenze più logiche, ossia la necessità di fermare questa crescita e di adottare stili di vita più sobri, rimane ancora un’eresia non accettabile.
Latouche si propone allora di 1) misurare la portata della crisi (non la crisi economica contingente, ma di quella ambientale in atto) 2) proporre l’alternativa della decrescita felice 3) indicare gli strumenti per la sua realizzazione.
La decrescita non deve essere intesa come crescita negativa; quest’ultima la viviamo adesso, e ne vediamo le conseguenze: lo spettro globale della povertà, la riduzione dei già esigui strumenti del welfare, i tagli generalizzati per trovare risorse necessarie alla ripartenza dell’economia. La decrescita si realizza invece solo in una società che ha superato il mito della crescita, è l’assenza della crescita come obiettivo della società, indirizzata invece a vivere meglio lavorando e consumando di meno.
Latouche contesta che la decrescita possa essere intesa come crescita sostenibile, che servirebbe solo a conservare la struttura capitalistica odierna, modificando solo marginalmente le attitudini di consumo. Effettivamente, se diamo un’occhiata ai messaggi propagandistici di questo tempo, non sentiamo altro che richiami alla sostenibilità, alla tutela dell’ambiente, ma il tutto in un sistema che comunque mira a conservare sostanzialmente gli schemi economici in corso (elevati profitti, elevati consumi, tanto lavoro, poco salario).
I fondamenti economici della teoria della decrescita risiedono in particolare negli studi di Nicholas Georgescu-Roegen, che alla dottrina economica tradizionale sostituisce il concetto di bioeconomia; occorre pensare l’economia non come un’insieme di leggi meccaniche, ma all’interno della biosfera, in cui il principio termodinamico dell’entropia ci mostra come le trasformazioni dell’energia non sono totalmente reversibili, e che quindi si va verso un depauperamento inesorabile delle risorse a nostra disposizione.
La società dei consumi, quella che purtroppo rende la vita dei lavoratori una continua trasformazione tra salario e merci, passando dalla fabbrica all’ipermercato, e viceversa, si regge su tre fondamenti: la pubblicità, che crea la dipendenza da consumo, il credito, che ne fornisce i mezzi, l’obsolescenza programmata delle merci, che ne rinnova la necessità.
E quanto è vero che la pubblicità crea continuamente l’insoddisfazione e la tensione del desiderio frustrato, che il credito consente di consumare a chi non ha reddito sufficiente, che i prodotti sono soggetti sistematicamente a rotture per le quali la riparazione non è abbastanza conveniente. Si diventa quindi tossicodipendenti della crescita, incapaci di pensare ad altro se non al consumo e al lavoro che ce lo consente. Ciò ci rende felici? Guardiamoci dentro, guardiamo le notizie dal mondo, e giudichiamo sinceramente.
Cosa ci rende oggi capaci di consumare oltre i limiti della rigenerazione delle risorse? Rubando, in primo luogo alle generazioni future, e poi ai paesi più poveri, costretti a essere i fornitori di risorse grezze per il nord del mondo.
Quali sono le conseguenze politiche della società della crescita? Pier Paolo Pasolini le aveva intuite: la periferizzazione delle città, il trionfo della grande distribuzione, dell’automobile e della televisione, hanno svuotato il senso di cittadinanza, creando un popolo silenzioso, facilmente manipolato da un potere mediatico legato alle imprese multinazionali. La globalizzazione sta poi terminando l’opera di distruzione della cultura popolare. Ciò ha aperto la strada a una classe politica populista e corrotta, di cui Berlusconi è l’alfiere e la caricatura, ma che tale rimane un po’ in tutto il mondo. E’ quindi necessaria un’azione politica per ribaltare questa situazione.
Votare una coalizione piuttosto che un’altra non è sufficiente per realizzare la società della decrescita: occorre una rivoluzione culturale, che porti a una rifondazione politica. Si tratta del progetto di un mondo diverso: questo è il senso della politica, che altrimenti si riduce alla gestione amministrativa di uomini e cose.
La rivoluzione culturale della decrescita si basa su otto R (due in più rispetto a quelle descritte nel libro “Come sopravvivere allo sviluppo”).
Rivalutare, ossia prendere a fondamento altri valori rispetto a quelli oggi imperanti: altruismo su egoismo, collaborazione su competizione, tempo libero su ossessione del lavoro, vita sociale su consumo, locale su globale, il bello sull’efficiente. Soprattutto è necessario passare dalla fede nel dominio sulla natura alla ricerca dell’armonia con essa.
Riconcettualizzare, cioè giudicare alla luce dei nuovi valori i concetti che la cultura del consumo ci impone, come quelli di ricchezza e povertà, rarità e abbondanza.
Ristrutturare, ossia modificare la struttura economica capitalista e il suo apparato produttivo in base alle esigenze della decrescita.
Ridistribuire: ripartire in modo più equo le risorse, e quindi il consumo, tra nord e sud, tra classi sociali, generazioni, individui.
Rilocalizzare: produrre localmente tutto ciò che è possibile realizzare su scala locale per bisogni locali. Le idee devono circolare liberamente, ma bisogna evitare al massimo i movimenti di merci e capitali.
Ridurre: limitare il sovraconsumo e i relativo spreco, ma anche la dipendenza da lavoro: ritrovare il tempo per fare il proprio dovere di cittadini, il piacere della produzione propria (artigianale, artistica, agricola), le sensazioni che danno il gioco, la meditazione, la conversazione, il tempo libero, in una parola.
Riutilizzare e Riciclare, ossia limitare il consumo superfluo, combattere l’obsolescenza programmata dei prodotti, ridurre al minimo e riciclare i rifiuti.
Un aspetto su cui Latouche insiste molto è la possibilità di ricostruire la società partendo dal livello locale, attraverso progetti che coinvolgano sia la politica che l’economia.
Quanto al primo elemento, la politica, anche se affrontare problemi globali come la tutela dell’ambiente è difficilmente realizzabile in un ambito locale, è però vero che per impostare una vera riforma è necessaria “l’esistenza di un progetto collettivo radicato in un territorio inteso come luogo di vita comune e dunque da preservare e da curare per il bene di tutti”. La comunità locale può diventare il centro di una rete di relazioni solidali che consentano una reale partecipazione al progetto di riforma della società.
Anche a livello economico la comunità locale può diventare il centro di un nuovo approccio che rifiuti le logiche del mercato globale di lavoro, merci, capitali. Occorre tentare di ricostruire l’autonomia economica di ciascuna regione: quella alimentare, con prodotti più freschi e sicuri; quella energetica, attraverso le energie rinnovabili che si adattano al meglio ai contesti locali; quella del commercio, con il recupero della piccola distribuzione. Reinquadrare l’economia nella società locale insomma preserva l’ambiente, riduce la disoccupazione, promuove la solidarietà, tutela la salute dei cittadini. I tanti progetti che a livello locale sono stati realizzati e si stanno promuovendo (vedi per esempio il sito dei “Comuni virtuosi”) dimostrano come in effetti alla sordità della politica nazionale si contrappone un attivismo positivo delle piccole entità territoriali.
La decrescita significa ritornare a un passato di privazioni? Secondo Latouche decrescita significa autolimitazione dei bisogni, chiederci cioè se comprare dieci paia di scarpe, spesso di scarsa qualità, sia meglio che averne due, ma di buona fattura. Se guardiamo invece agli effetti dell’economia iperliberista di oggi, vediamo i risultati della ricerca ossessiva di efficienza, prestazioni, riduzione dei costi, flessibilità, profitto: una società e un’economia sull’orlo di una crisi di nervi.
Latouche, posto che non è pensabile una rivoluzione che imponga le idee della decrescita, propone un programma elettorale che possa essere proposto da forze politiche ispirate agli ideali della decrescita stessa.
1) Recuperare un’impronta ecologica pari o inferiore al pianeta, ossia ridurre i consumi intermedi (trasporti, energia, imballaggi, pubblicità) in modo da consentire il recupero delle risorse naturali.
2) Integrare nei costi di trasporto (ecotasse) i danni provocati da questa attività
3) Rilocalizzare le attività, in modo da ridurre gli spostamenti di uomini e di merci
4) Restaurare l’agricoltura contadina, incoraggiando le produzioni locali, stagionali, naturali, tradizionali.
5) Trasformare gli aumenti di produttività in riduzione del tempo di lavoro e in creazione di posti di lavoro
6) Stimolare la produzione di beni relazionali, come la cultura, lo scambio intellettuale e conviviale
7) Ridurre in modo netto lo spreco di energia
8) Penalizzare le spese pubblicitarie
9) Decretare una moratoria sull’innovazione tecnico-scientifica, ri-orientando la ricerca sulla base delle nuove aspirazioni delle persone.
Diversi di questi punti possono essere perseguiti tramite politiche fiscali, che alla fine potrebbero consentire di fornire alla collettività risorse per realizzare gli investimenti inevitabilmente necessari per riformare in profondità la società e il tessuto produttivo secondo le nuove sensibilità.
Il problema dei problemi, nell’elaborazione di una teoria della decrescita, è quello del lavoro, della disoccupazione che può diventarne conseguenza, visto che la riduzione dei consumi determina necessariamente una riduzione della produzione. La soluzione, secondo Latouche è principalmente nella riduzione drastica del tempo di lavoro, ma anche in nuove modalità di lavoro che siano più dense di fattore umano (la tecnologia, i combustibili consentono di risparmiare sul lavoro umano, determinandone una diminuzione) o nelle nuove possibilità di occupazione che potrebbero dare gli investimenti in settori nuovi (tecnologie verdi).
Secondo Latouche, insomma, la riduzione del tempo di lavoro congiunta all’espansione di nuove attività potrebbe creare un saldo positivo dell’occupazione.
In ogni caso la decrescita


2

TRATTI DI DECRESCITA FELICE A PALERMO
A cura del prof. Antonio Basile

LA DECRESCITA PER IL GOVERNO DELLA CITTA’
“Uscirne da soli è avarizia. Uscirne insieme è politica” (Don Milani)..

Politica energetica
La politica energetica va indirizzata prioritariamente verso la riduzione dei consumi, che per oltre il 50% sono costituiti da sprechi e usi poco efficienti. Sviluppare le tecnologie per aumentare l’efficienza come pre-requisito per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Prima di pensare a tali fonti, quindi, occorre cominciare a consumare meno innanzitutto abbattendo gli sprechi, cercando di dimezzare la domanda e,contemporaneamente, sostituire l’offerta di fonti fossili con fonti rinnovabili.
Le proposte:
1. Incentivazione finanziaria e fiscale delle ristrutturazioni energetiche degli edifici esistenti, finalizzate a ridurre gli sprechi e le inefficienze.
2. Incentivazione finanziaria e fiscale di costruzioni ad alta efficienza energetica
3. Incentivazione da parte del comune delle ristrutturazioni energetiche con formule contrattuali “Esco” (Energy Service Company, ossia delle società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l'efficienza energetica degli edifici, assumendo su di sé l’onere dell'iniziativa e liberando il cliente da ogni onere organizzativo e di investimento. I risparmi economici ottenuti vengono condivisi fra la ESCO ed il Cliente finale con diverse tipologie di accordo commerciale o completamente introitata dalla società).

Rifiuti
Anche per i rifiuti l’azione da privilegiare prioritariamente è la loro riduzione, e solo dopo occuparsi del riuso e del riciclaggio. L’obiettivo di fondo è l’opzione rifiuti zero, in cui la raccolta differenziata è l’ultimo azione al fine di recuperarne il più possibile.
1. Smaltimento degli imballaggi a carico di chi li utilizza per il trasporto delle merci.
2. Abolizione della tassa raccolta rifiuti (tarsu) e applicazione di una tariffa commisurata alle quantità di rifiuti indifferenziati conferiti allo smaltimento (tia).
3. Incentivazione dei più efficienti sistemi di raccolta differenziata controllata (raccolta porta a porta spinta in tutta la città e isole ecologiche di quartiere) e del trattamento meccanico-biologico della frazione residua di rifiuti indifferenziati.
4. Gestione economica delle materie prime recuperate dalla raccolta differenziata.

Uso del territorio, edilizia, urbanistica
1. Uso della leva fiscale al fine della riduzione di CO2.
2. Incentivazione di economie autocentrate (prodotti e servizi locali nei mercatini rionali, nelle mense di scuole, università, luoghi di lavoro, fiere biologiche, mercato del contadino, gruppi di acquisto solidale, etc)
3. Blocco delle aree di espansione edilizia nei piani regolatori delle aree urbane e contemporanea riconversione di aree marginalizzate, ex industriali o commerciali, e piani di sostituzione architettonica al fine di non consumare il poco territorio ancora non costruito che rimane.
4. Incentivazione delle ristrutturazioni qualitative ed energetiche del patrimonio edilizio esistente (v. politica energetica).
5. Formulazioni di allegati energetici-ambientali al regolamento edilizio vincolanti le concessioni e le autorizzazioni edilizie al fine di abbassare gli standard di consumo/spreco energetici del patrimonio edilizio.
6. Ipotesi di recupero delle acque piovane per impianti antincendio, di irrigazione, servizi igienici.
7. Espansione del verde urbano: parchi agricoli nelle aree salvate dalla espansione edilizia; parchi urbani; reti ecologiche urbane/extraurbane. Previsione di verde di quartiere, anche piccoli interventi ma molteplici. Cura dell’arredo urbano.
8. Progettazione, manutenzione e gestione del verde urbano da parte di un’unica autorità. Riqualificazione degli lsu, pip e gesip in giardinieri attraverso corsi di formazione e conseguente definitiva internalizzazione del servizio parchi e giardini.
9. Effettiva realizzazione del Parco fluviale dell’Oreto e del Parco agricolo di Ciaculli
10. Divieto di costruzione di parcheggi per edifici destinati ad attività lavorative al fine di incentivare l’uso dei servizi pubblici.
11. Pedonalizzazione del centro storico e realizzazione di parcheggi in silos o sotterranei, evitando laddove è possibile la realizzazione di parcheggi a raso.

Mobilità
Riduzione del traffico pesante di merci e persone incentivando:
1. Le filiere corte di prodotti, soprattutto agricoli. Ciò anche per rivalorizzare il comparto agricolo locale, e quindi il territorio, in quanto sono gli stessi agricoltori i primi “guardiani” del territorio e, quindi, del suo dissesto.
2. Costruzione nell’area urbana di una fitta rete di piste ciclabili con diritto di precedenza sul traffico automobilistico, possibilmente con piste completamente separate dal flusso delle auto.
3. Incentivare l’uso di automobili pubbliche (car sharing e taxi collettivi).
4. Potenziamento del trasporto pubblico favorendo la riconversione dell’attuale parco mezzi con altro basato su mezzi elettrici.
5. Interramento del raddoppio delle linee di metro/ferroviarie.
6. Blocco del traffico privato nel Centro storico (v. pedonalizzazione).
7. Realizzazione di opere di mitigazione ambientale delle infrastrutture viarie esistenti.

Acqua
1. Ripubblicizzazione dell’acqua da parta del comune e incentivazione dell’acqua comunale.
2. Definire una quantità pro capite giornaliera minima gratuita e far pagare il surplus a costi crescenti in relazione alla crescita dei consumi.
3. Nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni obbligo del doppio circuito, acqua potabile per usi alimentari e non potabile per gli altri usi. Obbligo di usare l’acqua piovana per gli sciacquoni attraverso la realizzazione di vasche di accumulo.
4. Ristrutturazione e continuo monitoraggio della rete idrica urbana, con gare di appalto che consentano di trasformare i risparmi sui costi di gestione in quote d’ammortamento degli investimenti (sul modello dell’Esco).

Politica
1. Limite di due mandati elettivi, in assoluto, allo stesso livello istituzionale.
2. Riduzione degli stipendi del sindaco degli assessori, dei consiglieri e dei consiglieri di quartiere.
3. Scuole di politica per chi si accinge ad entrarvi, basate essenzialmente sulla politica come servizio alla collettività e sulla gestione dei beni comuni (acqua, aria salubre, territorio, paesaggio, servizi sociali, cultura, lavoro, etc.).
4. Istituzione di un codice deontologico del politico per una politica più etica.
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3




ETICA E POLITICA 
A cura del prof. Angelo Baccarella

Il mondo in cui viviamo non è conforme all'etica sebbene quest'ultima è un riferimento a cui ci ispiriamo. Nella politica, più che in altri campi, è stridente il contrasto tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è.
Riflettendo sulla politica nasce poi l’esigenza di fare un distinguo tra la Politica con l’iniziale maiuscola e la politica di partito. La Politica si riferisce alla conduzione della res publica da parte di persone e organismi eletti: la motivazione di base è il servizio pubblico (l’assunto della democrazia stessa). La politica di partito riguarda le strategie di un partito o di un’alleanza di partiti messe in atto per ottenere il potere o per mantenerlo ed essere rieletti se si è al governo. Queste strategie non escludono necessariamente buone pratiche di servizio pubblico, benché la motivazione di base, come assistiamo sulla scena politica italiana attuale, resti il potere.
In particolare vediamo che le decisioni più importanti nella vita del nostro paese sono prese nelle segreterie dei partiti; i candidati ai seggi parlamentari sono poi finanziati dai partiti e devono quindi attenersi alle loro istruzioni di voto, perdendo così la propria indipendenza e rappresentatività popolare. Il parlamentare, deputato regionale e provinciale o consigliere comunale non risponde all’elettorato.
Questa grossa limitazione della democrazia rappresentativa si può spiegare con un basso livello, purtroppo accettato, di educazione politica dei cittadini che consente inevitabilmente ai partiti di riempire questo vuoto politico. In Italia, oggi, i cittadini quali delegano ai partiti la funzione decisionale. La costruzione democratica implica invece che i cittadini siano competenti e s’impegnino nella democrazia partecipativa, che il Parlamento abbia importanti funzioni propositive (leggi) e il Governo funzioni esecutive.

Ma perché l’Etica deve essere in qualche modo imprescindibilmente legata alla Politica?
Quale nasce prima?

L’etica, o filosofia morale, è la “dottrina o indagine speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo di fronte ai due concetti del bene e del male” (definizione del Devoto-Oli).
Ai fini della nostra questione è interessante notare che Aristotele considerò, secondo Bertrand Russell, l’etica come subordinata alla politica, concetto compatibile con il pensiero di Niccolò Machiavelli, per esempio. Ma in ogni caso ancora, anche se subordinata, si presuppone che, comunque, ci sia un rapporto. Non a caso dopo due millenni e mezzo di discussioni, rivoluzioni e dichiarazioni di principio, ci si trova sempre a discutere sull’etica. O forse, oggi, è scomparso anche questo rapporto e l’etica è da considerarsi separata rispetto alla politica? Meglio ancora: partendo dal presupposto che l’etica è una deontologia, è importante avere una responsabilità etica per partecipare alla vita pubblica dello Stato?
L’uso della parola ‘deontologia’ è utile e permette confronti con altre regole deontologiche, ma solleva la difficile questione se praticare la politica sia una professione o no. Se avere una funzione politica elettiva è un mestiere, allora saremmo di fronte all’unico caso di una professione che è libera da regole deontologiche al di là delle generiche indicazioni della Costituzione. Il politico risponde delle proprie azioni al partito che lo ha nominato come candidato e ha pagato le spese della campagna elettorale, situazione certo non prevista dalla Costituzione della Repubblica italiana.

Allora, viene da sé chiedersi quale sono le caratteristiche di un comportamento desiderabile da parte delle persone che ricoprono cariche elettive o in associazioni di base e si occupano della res publica, cioè la soluzione dei problemi collettivi?

Alla domanda quale nasce prima, la posizione che si assume in questa sede è quella di rispondere che è l’etica, la scienza del comportamento e dell’agire umano: l’etica precede la politica in quanto la politica è la scienza dell’agire umano nella società e le società sono composte da individui, cittadini. Prima viene il cittadino, poi l’etica, a seguire la società e, infine, la politica.

Non sono un giurista né tantomeno uno statista ma solo un cittadino che concepisce la sua cittadinanza una cittadinanza consapevole e attiva. Quindi, mettendo da parte tutte le considerazioni, le valutazioni e gli apprezzamenti a posteriori per affrontare il rapporto tra Etica e Politica, mi sono calato nei panni di un cittadino indignato, quale sono, e ho iniziato a analizzare la mia indignazione proprio dal concetto di cittadino.


Punto primo.
Il concetto di cittadinanza.

La cittadinanza, in termini giuridici, è la condizione del cittadino (chiamato persona fisica dall'ordinamento giuridico di uno stato) al quale si riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. In un certo senso la cittadinanza è uno status. Implica che tutti hanno diritto agli stessi diritti; che consegue che tutti siano protetti dalle stesse leggi e, nello stesso tempo, soggetti alle stesse leggi, nel senso che il cittadino, oltre ad avere dei diritti, ha anche degli obblighi.
Thomas Hobbes, un filosofo inglese del settecento affermò che tutti nascono con gli stessi diritti e, in particolare, il diritto alla vita, alla libertà e alla felicità. Un altro filosofo inglese sempre del settecento, John Locke, aggiunse a questo elenco anche il diritto alla proprietà.
Qualsiasi tentativo di ridurre, limitare o negare questi diritti sarebbe stata una violazione contro la natura stessa dell’uomo. Soltanto il detentore di questi diritti può decidere di limitarli o rinunciare ad essi.
La concettualizzazione dei diritti dell’uomo è fondamentali: segna tutti i momenti cruciali della nostra storia contemporanea: la dichiarazione di diritti inglese del 1689 (Bill of Rights), la Dichiarazione d'Indipendenza Statunitense (4 luglio 1776), la Dichiarazione dei diritti Dell'uomo e del Cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione Francese, i diritti dell’uomo che troviamo tutt’oggi proprio nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 19481.
La Dichiarazione è la base di molte delle conquiste civili della seconda metà del XX secolo, e costituisce l'orizzonte ideale della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, confluita poi nel 2004 nella prima stesura della Costituzione europea (non ratificata) e poi nel Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1 dicembre 2009.
Questi sono alcuni dei nostri diritti fondamentali:
· il diritto alla vita,
· il diritto alla libertà individuale,
· il diritto all'autodeterminazione,
· il diritto ad un'esistenza dignitosa,
· il diritto alla libertà religiosa;
e in campo politico:
· uguaglianza,
· libertà personale / individuale,
· governo attraverso il consenso,
· governo responsabile,
· governo limitato nei poteri.

In breve questi documenti coprono una gamma di diritti naturali, legali, politici, economici e sociali. Da un punto di vista politico viene affermato che tutti gli uomini hanno il diritto di parola (o libertà di parola), tutti hanno il diritto di movimento (libertà di movimento) e tutti hanno libertà di associazione.
Sebbene in molti posti del mondo questi diritti vengono negati, è indiscutibile che sono i pilastri fermi e punti di riferimento per la valutazione di tutti i sistemi politici. Per quanto riguarda, invece, i diritti legali, cioè i nostri diritti civili, questi vengono codificati e stabiliscono non solo quali sono ma anche come devono essere garantiti. In Italia, per esempio, li troviamo nella Costituzione della Repubblica Italiana (22 dicembre 1947).

1 Articolo
1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
2. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità. Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Punto secondo
Il concetto di popolo.

L'insieme dei cittadini di uno stato costituisce il suo popolo. Da non confondere con il concetto di popolazione e cioè l'insieme delle persone che risiedono sul territorio di uno stato (i suoi abitanti), a prescindere dal fatto che siano suoi cittadini. In senso sociologico, la cittadinanza assume una valenza più ampia, e si riferisce al senso di identità e di appartenenza degli individui ad una determinata comunità sociale e politica.
Questa premessa ha lo scopo di fare un distinguo rispetto al concetto di cittadino da quello di suddito. Il suddito è soggetto alla sovranità di uno stato; la condizione del suddito implica, di per sé, situazioni giuridiche puramente passive (doveri e soggezioni), il cittadino, invece, è detentore e titolare di diritti e altre situazioni giuridiche attive (anche se accompagnati da doveri e altre situazioni giuridiche passive).
Ne consegue che il concetto di cittadinanza implica, di per sé, una partecipazione attiva politica alla vita dello Stato e, in una democrazia, l’esercizio della sovranità. Il suddito è assoggettato dallo Stato e, proprio per questo, non può esserne protagonista. In altri termini, la definizione di cittadinanza scaturisce dal seguente presupposto: lo Stato si impegna a tutelare i diritti fondamentali e riconosce ai cittadini i diritti politici, quali il diritto al voto e l’eleggibilità alle cariche elettive, e il cittadino si assume la responsabilità dei correlativi obblighi e doveri (compresi quelli tributari).

Punto terzo
Il concetto di democrazia.

Chiaramente stiamo contestualizzando questi concetti in un sistema democratico. Ma cos’è la democrazia? A forza di utilizzare questo termine abbiamo bisogno, di tanto in tanto, di ricordarci qual è il suo significato. Un sistema politico democratico presuppone che l’autorità politica, in ultima analisi, risiede nel popolo, l’insieme dei cittadini dello stesso stato ("demos" = popolo + "kratos" = autorità). Ci sono diverse forme di democrazia; la democrazia può essere diretta, indiretta e rappresentativa ma, in ogni caso, emergono quattro principi che sono basilari:
· individualismo / dignità della persona: lo Stato deve garantire ad ogni suo cittadino la massima realizzazione del suo potenziale di sviluppo;
· libertà: lo Stato deve garantire ad ogni suo cittadino la massima libertà in subordinazione al mantenimento dell’ordine sociale;
· uguaglianza: ogni cittadino è stato creato uguale e ha gli stessi diritti e opportunità di realizzazione;
· fraternità: ogni cittadino non farà un uso cattivo della propria libertà ma collaborerà alla realizzazione e al benessere di ogni altro cittadino e dello Stato 2 nel suo insieme.

Il termine "democrazia" propriamente definisce quella forma di governo in cui il potere appartiene "al popolo". Perché si abbia democrazia in senso stretto occorre che tutte le decisioni significative siano prese dal popolo in base al principio di maggioranza.
In quanto sistema politico, la democrazia postula l’assunto della sovranità popolare, investendo tutti i poteri nel popolo. Questo presuppone che il popolo, l’insieme dei cittadini, può ed è capace di controllare il proprio destino (autodeterminazione) ed è in grado di effettuare giudizi morali ed etici oltre alle decisioni pratiche nella conduzione della propria vita quotidiana. Implica anche che ogni cittadino non solo è alla ricerca per realizzarsi al massimo delle proprie potenzialità ma anche che collabori nella costruzione delle istituzioni sociali e nell’attuazione dei rapporti tra il cittadino singolo e le istituzioni stesse. Il concetto di uguaglianza, poi, portato alla sua conseguenza logica, richiede anche la partecipazione del cittadino all'esercizio del potere. La fratellanza risiede nella garanzia della persona e include anche quanto occorre per dare a ciascuno un'esistenza dignitosa e, infine, impone la solidarietà. La democrazia richiede, in tal modo, dei processi decisionali basati sul governo della maggioranza e la tutela dei diritti della minoranza. In un sistema democratico è indispensabile garantire la libertà di opinione e di espressione, di stampa, di culto, di associazione, di petizione e di uguaglianza.

2 Lo Stato è un ordinamento giuridico politico che a fini generali esercita il potere sovrano su un determinato territorio e sui soggetti a esso appartenenti. Alla parola Stato afferiscono due concetti distinti:
Stato-comunità: popolo, stanziato su un territorio definito, che è organizzato attorno ad un potere centrale (comunemente chiamato "Stato-nazione").
Stato-apparato (o Stato-organizzazione): quel potere centrale sovrano, organizzato in possibili differenti modi, che detiene il monopolio della forza, e impone il rispetto di determinate norme nell'ambito di un territorio ben definito.
Quindi lo stato ha una funzione strumentale: è uno strumento per realizzare determinati scopi che sono il benessere della società, che viene ordinata insomma attraverso gli strumenti istituzionali di questo stesso Stato. Cioè lo stato non è il fine ma lo strumento del popolo che dà vita a questo stesso Stato.

Punto quarto
Il concetto di delega (elezione dei rappresentanti al governo)

Tenendo conto di questi assunti, per poter funzionare un sistema democratico, il popolo dev’essere educato all’esercizio della democrazia e dev’essere civilmente responsabile; è incontrastabile che ci sia una carta, una costituzione, che stabilisca l’insieme dei valori condivisi da tutti i cittadini; lo stato deve avere un certo grado di stabilità economica; è necessario che ci sia una coesione e un consenso sociale; è essenziale che ci siano servizi e istituzioni del cittadino per il cittadino; e, prima di ogni altra cosa, devono essere condivise le regole che costituiscono la struttura stessa della democrazia:
· elezioni giuste e frequenti;
· l’opposizione deve accettare il verdetto del popolo e permettere alla maggioranza di governare;
· la maggioranza deve riconoscere alla minoranza il diritto di opposizione, e
· se la minoranza vince le elezioni future, questa dev’essere permessa di prendere le redini del governo.

Un partito, un movimento necessita del supporto e del favore del popolo che governa. Senza questo requisito basilare, un governo non può governare.

Punto quinto
Il concetto di governare

La politica, i partiti, i movimenti e i politici non sono altro che gli agenti catalizzatori che rendono la democrazia attuabile.
La politica, e i politici, immancabilmente devono rispondere a quello che viene loro chiesto da ogni cittadino nello specifico e dal popolo in generale. Questi sono i valori e gli ideali del governare in un sistema democratico. Valori e ideali che poi diventano proposte, che poi, a loro volta, diventano un programma - le regole e l’espressione di una convivenza condivisa da tutti i cittadini stessi nel rispetto degli interessi condivisi e del bene comune. Questa è la differenza fondamentale tra il potere esercitato in un sistema totalitario e il governare come servizio in un sistema democratico.
In uno Stato di diritto il potere è diviso in tre funzioni pubbliche: legislazione, amministrazione e giurisdizione - e nell'attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello stato indipendenti dagli altri poteri:
· Il potere legislativo (la promulgazione delle regole della convivenza dei cittadini); la funzione legislativa è attribuita al Parlamento;
· Il potere esecutivo (la garanzia dell’implementazione di queste regole e, nello stesso tempo, dell’ordine sociale); la funzione amministrativa è attribuita agli organi che compongono il Governo e, alle dipendenze di questo, la pubblica amministrazione;
· Il potere giuridico (l’interpretazione e l’applicazione di queste regole a tutti i cittadini senza distinguo di sorta); la funzione giurisdizionale è attribuita ai Giudici (e alla Magistratura).

Il potere decisionale risiede nel Parlamento, negli eletti a rappresentare i cittadini stessi.
Il parlamento, a sua volta, è limitato dalla Costituzione la quale, quintessenza dell’espressione dei valori e ideali dell’insieme dei cittadini, vale a dire un insieme di norme di più alto grado, considerate immutabili rispetto ad un semplice voto di maggioranza e rivedibili solo con procedure particolari. Norme che indicano cosa può fare il governo (il potere esecutivo), ma, più importante, cosa non può fare.

L’istituzione politica formale preposta all’attuazione dell’espressione della volontà della maggioranza dei cittadini è il Governo. In un sistema democratico il Governo è formato dal partito, dal movimento o dai partiti e movimenti che rappresentano la maggioranza dei cittadini che hanno espresso il loro volere attraverso il voto.
Il Governo, in un sistema democratico, non è statico ma in continua evoluzione in quanto rappresenta l’evoluzione dell’espressione comune della convivenza socio-politica ed economica dei cittadini. Per tale ragione il mandato del Governo è a termine. Inoltre, quando la maggioranza degli eletti a rappresentare il popolo di una elezione non rappresenta più questa espressione comune, il Governo viene deposto e dev’essere garantita una nuova espressione di voto del cittadino - sempre tramite elezioni.

La funzione giurisdizionale è esercitata da giudici indipendenti, ai quali il cittadino possa rivolgersi per la tutela dei suoi diritti (intesi in senso lato), anche a fronte di lesioni arrecate dai pubblici poteri; questo principio è uno dei capisaldi dello stato di diritto. Anzi, nello stato costituzionale di diritto il sindacato del giudice si estende all'operato del potere legislativo (il Parlamento), sotto forma di controllo di legittimità costituzionale delle leggi. La magistratura italiana, in particolare, è un complesso di organi con funzioni giurisdizionali e costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere; inoltre, è un Organo costituzionale, secondo quanto sancito dall'art. 104 della Costituzione della Repubblica Italiana. I magistrati ordinari sono titolari della funzione giurisdizionale, che amministrano in nome del popolo (l’insieme dei cittadini che sono in rapporto di cittadinanza con uno Stato). In Italia l'organo di autogoverno della magistratura è il Consiglio Superiore della Magistratura presieduto dal Presidente della Repubblica.


Punto sesto
Il concetto di politica

A questo punto, mi chiedo: cos’è la politica? La politica (polis = città) è l'Arte di governare la società. Il termine si applica tanto alla attività di coloro che si trovano a governare quanto al confronto ideale tra chi è stato delegato a rappresentare il cittadino e ha facoltà di governare quanto a quelli che, essendo stati democraticamente eletti, rappresentano la minoranza con eguale diritto di partecipazione e coinvolgimento nelle scelte (il concetto di maggioranza e opposizione in sede parlamentare).

Il fine della politica è il conseguimento di una vita che sia la migliore e il più possibile felice per la comunità umana organizzata politicamente. Dunque gli uomini politici, che sono responsabili di questa comunità, devono orientare le proprie azioni su questo fine, che è la comunità stessa, in quanto vita umana collettiva. Se il fine della politica è questo, non possiamo sottovalutare gli aspetti propriamente morali della politica. Infatti il problema morale verte sempre intorno a una questione fondamentale e ricorrente: "Qual è il senso della vita umana?", "Come si realizza questo senso?", "Come possiamo ottenere una vita umana che sia la migliore e la più felice possibile?". La politica risponde ad esigenze e a condizioni che sono orientate moralmente. Dunque la politica è anch'essa moralmente qualificata, così come, d'altra parte, è vero che la morale dell'individuo non può essere separata dalle questioni sociali e politiche.

L'etica diventa la dimensione della libertà della scelta, ma anche della responsabilità, perché noi dobbiamo, essendo liberi, anche essere in grado di farci carico delle conseguenze di queste nostre scelte. Questa è la dimensione della libertà che spesso si trascura. Libertà è anche essere capaci di caricarsi delle conseguenze della scelta. Questa è appunto la dimensione della responsabilità che alla libertà è intimamente connessa. Conseguenza logica, l'etica deve rifondare la politica.

Questo ci porta di nuovo al concetto di governare. Come si governa lo Stato? Oltre alle funzioni del Stato (legislativo ed esecutivo), che altro non sono che le responsabilità affidate ai rappresentanti delegati dal popolo, ci sono doveri e compiti che riguardano il Parlamento e il Governo che investano la gestione di diversi settori che si intrecciano tra loro e che costituiscono il luogo di residenza dei cittadini di uno Stato, lo Stato appunto.

Quali sono questi settori che vanno amministrati, e che, nella loro amministrazione, soddisfano i requisiti del punto primo, del punto secondo e del punto terzo, oltre a rispettare i punti quarto e quinto?
Vediamoli insieme (chiaramente si possono aggiungere altri “sottosistemi” ma, credo che quelli principali siano rappresentati tutti):
















































Punto ultimo
E l’etica?
Cos’è l’etica? L'etica (èthos = carattere, comportamento) altro non è che l’insieme dei valori che consentono al cittadino di gestire dignitosamente la propria libertà nel rispetto degli altri. L’etica è la cornice di riferimento dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere.
L’etica è il comportamento del cittadino:
· al quale si riconosce la pienezza dei diritti naturali, civili e politici;
· il quale è detentore responsabile e titolare di questi diritti;
· il quale è un partecipe attivo alla politica e alla vita dello Stato;
· il quale è un protagonista responsabile all’esercizio della sovranità della democrazia;
· il quale è capace di realizzare la massima realizzazione del suo potenziale di sviluppo;
· il quale è un collaboratore alla realizzazione e al benessere dei suoi concittadini e dello stato, che collabori e si rende partecipe nella costruzione delle istituzioni sociali e nell’attuazione dei rapporti tra il cittadino singolo e le istituzioni stesse;
· il quale, delegato a rappresentare la cittadinanza, governa consapevole di essere al servizio della stessa cittadinanza che lo ha eletto.

A questo punto la considerazione etica è semplice: la forma di governo deve essere tale da trattare tutti gli esseri umani come tali, e non semplicemente come oggetti di dominio. Quindi, innanzitutto, cittadini e non sudditi. Il regime deve godere del libero consenso dei soggetti e tutti devono essere trattati da esso come persone umane nel pieno della propria dignità. Cerchiamo dunque di riassumere gli elementi che dovrebbero caratterizzare un regime siffatto:
1. inviolabilità della persona nella sua integrità fisica e morale;
2. libertà di opinione, di espressione, di religione;
3. uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato;
4. partecipazione dei cittadini all'esercizio del potere;
5. garanzia delle condizioni necessarie ad una vita dignitosa per ogni cittadino;
6. governo della legge (stato di diritto).

Conclusioni
Dov'è l'errore?

I punti che abbiamo analizzato non prescrivono un particolare tipo di struttura sociale, ma sono elementi base che devono essere presenti affinché si possa parlare di democrazia. Ma ciononostante avvertiamo un disagio, un’indignazione di fronte al modo in cui viene esercitato il potere politico e alla percezione di una assenza della responsabilità morale che dovrebbe sottostare al nostro agire collettivo per il bene comune di tutti i cittadini.

Ma sappiamo che così non è. Allora, dove sta l’errore?
Alcune opinioni e idee non hanno bisogno di essere commentati: il punto di partenza di qualunque progetto di miglioramento della società siamo noi stessi, ciascuno di noi nella sua propria umanità individuale. Bisogna recuperare lo status di cittadino. Qui il termine di cittadino non è inteso solo nel semplice senso legale (avere i diritti e doveri della cittadinanza), ma nel senso partecipativo, cioè la persona che esercita i propri diritti e doveri partecipando in modo convinto e attivo alla vita politica del Comune, della Provincia, della Regione e del Paese.
Ma altri interrogativi necessitano di essere discussi e approfonditi:

· Come garantire una maggiore partecipazione dei cittadini nella gestione della res publica?
· Come recuperare il rapporto tra Etica e Politica?
· La politica è ancora concepito come servizio pubblico?
· Come garantire una migliore “qualità” dei rappresentanti candidati-eleggibili (etica, competenza, moralità, onestà, etc.)?
· Il politico dev’essere un "professionista" della politica?
· Come rendere più rappresentativi i partiti e/o i movimenti?
· È necessario cambiare la legge elettorale attuale per avere una maggiore rappresentatività?
· Come favorire il rinnovamento e l’alternanza della classe politica?
· Qual è il ruolo dei partiti? hanno ancora un senso?
· Che ruolo e significato bisogna dare ai movimenti civici nascenti? Sono la nuova realtà politica o sono destinati a colmare una lacuna temporanea legata alla crisi dei partiti attuale?

Chiaramente si possono proporre diversi “rimedi” e forse la più importante è proprio la formazione del cittadino in quanto attore responsabile della propria cittadinanza.

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4

di Mario Guglielmino





Messaggi in bottiglia


A responsabili di associazioni, movimenti, cittadini impegnati nel sociale e nel lavoro, intellettuali uomini e donne, giovani di buona volonta’



Messaggio in bottiglia n 1
§

LA performance referendaria spinge a importanti riflessioni sul tema del movimentismo civico italiano.

Possiamo affermare, intanto, di aver definitivamente sfatato il mito mistificante dell’antipolitica.

Un popolo che partecipa NON E’ ANTIPOLITICO, anzi….

Semmai il movimentismo civico e’ portatore di nuove istanze per una nuova politica.

A questa domanda di “nuovo” occorre prestare attenzione .

E spetta allo stesso movimentismo civico elaborare NUOVI CONCETTI E NUOVE CATEGORIE,nuove coordinate di riferimento per esibire,comprendere,trasmettere autenticamente i propri contenuti e la propria essenza..

Altrimenti si corre il rischio evangelico di inserire “vino nuovo in otri vecchi “ con conseguente ammuffimento e perdita del potenziale innovatore e fecondo.



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Gia’ molti colgono la necessita’ di cio’ definendosi ne’ di destra ne’ di sinistra ma “ oltre“. Oppure parlano di “ trasversalita’” rispetto ai partiti.

In effetti ognuna di queste definizioni ha certi pregi ma anche immancabili difetti.

Il primo e’ quello di definire se stessi “rispetto a” qualcos‘altro.
Senza incamminarsi con decisione alla presentazione / rappresentazione di se’ come il nuovo nella sostanza e nel linguaggio,senza riuscire a dare di se’ una immagine autoctona e autonoma.

Come definirsi e tracciare la propria identita’ allora?


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Io penso che la strada maestra sia quella di cogliere il progressivo incessante e inarrestabile disvelarsi di questa grande presa di coscienza civica .

I partiti rimangono essenziali punti di riferimento , ma questo mondo ,per evitare di perire ammuffito vittima dei bizantinismi nei propri stessi anditi tentacolari ,deve accogliere senza condizioni il nuovo che avanza proveniente dal movimentismo civico.

Pena la stessa morte del sistema, e con esso degli stessi partiti.

Il movimentismo civico e’ un’anima formata da tante anime ,una forza della natura sociale razionale dell’uomo.

Nella misura in cui l’uomo e’ incontestabilmente e incomprimibilmente un essere sociale e razionale vi sara’ sempre un livello di guardia oltre il quale l’impegno politico di ciascun essere pensante e critico cerchera’ di evitare le derive di varie forme di dittatura o sonno indotto delle coscienze .


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Comprendere il fenomeno del movimentismo e fornire aggettivi,concetti,teorie nuove diventa quindi il primo e principale compito di chiunque vede in questo ambito realizzanda la concreta speranza di una societa’ di nuovo migliore piu’ giusta,attenta ai beni di ogni genere e di tutti.

E diviene il compito di intellettuali,filosofi,sociologi, educatori sociali che abbiano a cuore le sorti di questa epoca elaborare questi importanti riferimenti .



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Messaggio in bottiglia 2



LA Nuova Coscienza di Classe Civica




LA prima categoria che va riscoperta e’ quella del cittadino-civis in quanto tale.

Non in quanto elettore o consumatore di politica. Bensi’ in quanto ATTORE protagonista della costruzione della civitas.

Il cittadino - civis vive sulla sua pelle le dirette emanazioni della politica, sulla scia di una democrazia divenuta purtroppo sempre piu’ formale che sostanziale, gestita da lobbies, consorterie,famiglie, spesso senza poter influire su di esse e avendo a disposizione mezzi certo sempre utili ma, bisogna riconoscere, piuttosto arzigogolati ed elefantiaci quindi non costantemente applicabili per le difficolta‘ logistico organizzative (vedi referendum) per poter sperare a sua volta con questi di intervenire sempre efficacemente e celermente.


Il movimentismo civico e’ senza dubbio una risposta a questo stato di cose.

Accoglie in se’ realta’ associative e cittadini desiderosi di riportare al centro dell’impegno politico non la sub-cultura della delega ma la responsabilita’ condivisa, mediante una presenza diretta nelle istituzioni amministrative e democratiche sia in senso elettivo che in funzione di vigilanza.

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Tuttavia rimarremmo solo in superficie se ci limitassimo a rendere il tutto una semplice interpretazione di un fenomeno con le categorie della risposta, di causa effetto secondo il semplicistico schema

democrazia distante =problema
Vs
partecipazione attiva =soluzione)



Studiare l’aspetto sociologico e storico di questo movimentismo, per considerarne la natura, le fondamenta, le spinte è direi il punto qualificante essenziale e rappresenta la vera svolta e addirittura pone i presupposti della continuità dell‘azione

(non diventi un fuoco di paglia !). .


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A me pare infatti che tutta la ricchezza del fenomeno movimentismo civico debba essere compresa ancora piu’ dall’alto, da lontano,sin dalle fondamenta a mio avviso adesso totalmente nuove.


Se cosi’ non fosse rischieremmo seriamente di non capire davvero nulla e si perderebbe una fetta enorme di potenzialita’ di sviluppo e comprensione di se’ stessi, oltre che una importante occasione storica di vera rinascita sociale ,politica,culturale .

Un new deal del senso civico.


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Per offrire una analogia di carattere storico e’ un po’ come il sorgere dei comuni nell’Italia medievale e la loro progressiva affermazione con il conseguente sviluppo , frutto e causa culturale non accidentale di quelle vicende socio politiche , dell’umanesimo rinascimentale .

Per un’altra (alquanto ardita ma concedetemela!!) analogia di carattere storico il movimentismo civico trova oggi il suo corrispondente nella nascita della classe del proletariato durante la rivoluzione industriale.


Proviamo a pensare solo un attimo quali rivoluzioni e quali grandezze ha portato la percezione e la comprensione da parte della societa’ (gli attori di allora) di quei radicali mutamenti, avvenuti per prima nei fatti (il cosiddetto progresso,la diversita’ dei modelli e dei rapporti di produzione di beni,di gestione delle citta’ e della democrazia dei signori illuminati ) e poi definitivamente nella coscienza dei cittadini del mondo !

Quanti milioni di esseri umani si riconobbero nelle scene delineate da quei nuovi quadri !

Persino oggi,quando quei paradigmi sono ormai divenuti chiaramente inadeguati per una immediata applicazione all‘attualita‘, essi costituiscono comunque un dato di riferimento e utile fonte ancora di rilettura interpretativa
.

Il cambiamento e’ sempre sostenuto da paradigmi concettuali forti, anche complessi se occorre.



Ecco perche’ la necessita’ di una riflessione che produca concetti,teoria, riconoscimento riguardo al movimentismo civico.


Ovviamente e’ solo un esempio,ma intende essere un forte esempio,una analogia.



Fine del messaggio in bottiglia n 2



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Messaggio in bottiglia n 3



Dei rapporti del cittadino-civis con la politica:il riconoscimento




Ricorderete che nel 1943,subito dopo la resa militare dell’Italia fascista alle truppe alleate della liberazione ,vi fu tra le italiche milizie un comportamento difforme e tuttavia negli opposti esempi spesso ugualmente valoroso e schivo ,alieno dal tornacontismo (almeno nell’iconografia diffusa se proprio non vogliamo generalizzare, sospettando del solito provincialismo italico).
Molti ufficiali e militari seguirono le sorti del loro Duce, in nome della fedelta’ alla parola prestata affrontando la morte.
Molti Altri invece per un altro opposto ragionamento,  sensibili alla nuova valenza geopolitica Italiana, affrontarono anch’essi la morte scegliendo di servire la patria, l’ideale nella nuova veste politica provocata dall’armistizio.
Ci riferiamo ad esempio ai fatti di Cefalonia o altri luoghi dove si consumò il sacrificio di molti soldati che da alleati dei tedeschi si trovarono d’un tratto ad esser loro nemici e in pratica prigionieri, finendo massacrati per il loro rifiuto di deporre le armi e consegnarsi prigionieri o disertori.

Per un'altra storia (stavolta sceglierò il carattere pacifista e non violento) richiamerò la marcia del sale o comunque l’epica azione non violenta della grande anima Gandhi il quale colpendo incessantemente e pazientemente ai fianchi il gigante inglese ne determinò la fuga dalle Indie, conseguendo la libertà e l’indipendenza del popolo indiano.
In più occasioni il popolo indiano in gran parte scese e camminò con Grande Anima, sottoponendosi alle minacce e alle ritorsioni inglesi e al fuoco di fila contro inermi.

Ebbene cosa c’entra tutto ciò con la nostra causa?


C’entra con il fenomeno movimentismo civico e con la necessità che avvenga un riconoscimento, l’incontro con l’idea di appartenere tutti alla nascente classe della civicità.

Perchè quei soldati preferirono la morte alla vita? l’ideale alla bassa materia?
Perchè quegli Indiani seguirono Gandhi nella sua lunga marcia ?
Non solo per disperazione.
Non ovviamente per solo tornaconto.
Vi fu un ri-conoscimento, un ri conoscersi esistenziale che portò a livello di consapevolezza, di coscienza singola e collettiva il fatto di appartenere a qualcosa, di appartener-si reciprocamente, di ritrovar-si uomini e donne di senso portatori di valori condivisi e nobili interessi condivisi.


Vi fu un senso comune che portò a un comune salpare verso un nuovo orizzonte possibile con una esperienza che varca le colonne d’Ercole delle nostre certezze e ci lancia in un "territorio scommessa" (la terra promessa?) al quale tuttavia ci sentiamo legati e dal quale siamo attratti da un forte richiamo valoriale e di contenuti, da una intima interiore sintonia e armonia con le idee da noi professate.


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Fattori di crisi ed evoluzione in senso centrifugo/centripeto del civis rispetto all’impegno politico:

-Crisi dei partiti e delle ideologie anche sotto l’aspetto della questione morale
-Aumento e miglioramento delle comunicazioni
-WEB,
-TV,Streaming etc
-Democrazia dei mezzi di comunicazione
-Tempo libero
-Crisi sociale e del lavoro
-Crisi economica
-Facilita’ delle comunicazioni e degli spostamenti locali,nazionali,internazionali
-Individualismo
-Influenza e capacita’ d’azione nel micro e macro spazio vitale
-Solidarieta’
-Aumento coscienza della importanza della sinergia nel’ottenimento di risultati
-Sensibilita’ alla democrazia partecipativa
-Sensibilizzazione agli interessi generali/mondiali (temi energetici,di salute,di -emergenza umanitaria ,di risorse e beni pubblici e comuni etc)
…..E agli interessi locali




In relazione a tutto questo aumenta il desiderio di partecipazione e di assunzione di responsabilità da parte del civis che non vuole partecipare solo sullo sfondo e chiede una assunzione attiva e diretta di responsabilità per divenire artefice del proprio futuro e dei / con i suoi simili..

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Le strutture partitiche da parte loro hanno già perso la loro scommessa, hanno dimostrato di essere ancorate al verticismo e piuttosto impermeabili e refrattarie al cambiamento.


Il movimentismo invece con agilità e freschezza può e sente di agire con maggior efficacia e corrispondenza alle nuove istanze.


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Di fronte a questo occorre innanzitutto esaminare il mutamento sostanziale di molte istanze sociali e politiche .

Cioe’ rispetto a venti anni fa non si tratta piu’ qui di dare spazio al concetto di rete,di unione,di unita’ delle forze .Questo e’ un nodo essenziale.!

Questi concetti,se fossero applicati con lo stesso significato di due decenni fa sarebbero semplicemente fuorvianti,morti in se’,superati.

Il movimentismo di oggi non puo’ e non deve avere come riferimento primavere gia’ sepolte.

E’ una fase nuova sin nei fondamentali.Sono cambiati i tempi e le condizioni e gli strumenti a disposizione.

Il movimentismo civico ha ed e’ una forza in quanto tale.

Non si e’ ne’ si diventa forti perche’ si e’ uniti o perche’ ci si fonde in rete in senso meramente utilitaristico o strategico tattico .

Tutto al contrario !:si e’ forti in quanto cives , in quanto ci si percepisce e riconosce cittadini del villaggio globale , inclusi nel paradigma del villaggio globale..


E in questo si attende la migliore lucidita’ degli intellettuali a noi contemporanei per aiutare a discernere ,definire , distinguere quasi una nascita di un nuovo ceto ,una nuova classe di cives.

E’ essenziale che l’onda movimentista si riconosca e si auto percepisca come un unico soggetto portatore di interessi che trova in se stessa e solo in se stessa le ragioni e i programmi per una azione secondo linee comuni.

Cio’ che alcuni studiosi hanno gia’ proposto di definire “il ceto medio critico e riflessivo “
Un corpo sociale variegato,variopinto,portatore di interessi comuni,senza pretese di soluzioni ai sommi problemi bioetici ne’ approcci fondamentalisti .

Cittadini, volontari da sempre dediti al sociale, professionisti impegnati nel lavoro e nella quotidianita’ per una societa’ piu’ equa e giusta ,insegnanti, assistenti sociali ,medici, psicologi,educatori, finanzieri etici o comunque illuminati da un sano umanesimo,tutti devono sentirsi parte di questo nuovo modello e corpo sociale che ha come fine immediato prossimo la realizzazione del bene comune.

Tutti coloro sono accomunati dal fatto che esperienzialmente ricercano gia’ il bene comune e mettono e scommettono la faccia e il cuore gia’ nella vita quotidiana e insieme alla propria famiglia.

Senza spauracchi ideologici ,che ormai sono specchietti per allodole e servono solo a dividere furbescamente le forze lì dove invece occorrerebbe invece solo lungimiranza e solidalita’.

In un certo senso il compito rispetto al ventennio precedente e’ facilitato.Occorre soltanto non mettersi reciprocamete i bastoni tra le ruote e dare libero corso al fenomeno.
Secondo quanto detto sopra ri- scopriamo quasi con sorpresa e piacere che
l’interesse di molti e’ rappresentabile dai piu’, e cosa molto piu’ importante, non piu’ su base ideologica.


I cives devono innanzitutto riconoscere la comune sorgente del loro interessamento al bene comune e al loro interesse ,elaborando una immagine piu’ solidale dell’impegno politico ,e in base alle osservazioni precedenti, aprirsi a un ventaglio di convergenze e nuove modalita’ di patto sociale e politico tra elementi anche apparentemente differenti.e molteplici.


L’operazione e’ facilitata poiche’ in considerazione della crisi delle ideologie molte istanze hanno goduto soprattutto in ambito amministrativo un notevole e sensibile avvicinamento delle posizioni fino a sfiorare la assoluta identita’ di vedute.

Tutto cio’ va letto non in antitesi rispetto ai partiti tradizionali ma in posizione sinergica e dialettica.



E’ compito di chi ha maggiore chiarezza quello di suscitare una sempre piu’ ampia adesione al movimentismo civico da parte dei naturali attori (cittadini e associazioni) .

Creando quindi un ventaglio che abbia non per fine la delegittimazione dei partiti ma una feconda dialettica che sia capace alla fine del percorso di produrre nuove definitive modalita’ di democrazia partecipativa adeguate ai tempi e alla societa’ di oggi.



E per tutto questo non occorrono leaders ma servitori.



Fine del messaggio in bottiglia n 3


Mario Guglielmino -Voci Attive -Palermo









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VOCI CRITICHE:intorno alla  bozza del manifesto programmatico
                                                                                      a  cura  del  dr  G SAlemi


   Ho letto attentamente la bozza di programma. Certamente la creazione di un gruppo che supporti un candidato sindaco e la riuscita di questo progetto non passa solamente attraverso l’elaborazione di un programma più o meno perfetto e nell’elezione del sindaco il programma e la sua divulgazione contribuiscono per un 30-40%, comunque un programma ben strutturato è molto importante. Lo sforzo da voi fatto è notevole ed in linea di principio condivisibile.

Ho però alcune perplessità che desideravo sottoporre  alla  VS  attenzione:

1)      Il progetto non modula l’ipotesi di una candidatura a sindaco rispetto alla grave crisi socio-economica italiana e mondiale presente ormai da alcuni anni e che pone grandi perplessità sulla validità di organizzazione di una società basata su un sistema di tipo capitalistico a sviluppo liberista. La persistenza di tale crisi pone anche in dubbio la realizzabilità di molti punti del programma a meno di immaginare un nuovo modello di interazione tra i cittadini, di organizzazione sociale e di sviluppo economico, modello che però non viene chiaramente esplicitato.
2)      Manca anche un’analisi complessiva dello stato di degrado della città, del diffuso impoverimento dei cittadini e del ruolo della malavita organizzata, che continua ad infiltrare la città in tutti i suoi gangli e che costituirebbe certamente uno dei principali ostacoli all’applicazione del programma qualora un sindaco ed una coalizione che immaginassero uno sviluppo innovativo onesto ed etico della città si trovassero a governarla
3)      Il progetto presenta in maniera lineare gli obiettivi senza differenziare quelli che potrebbero assicurare delle entrate o dei risparmi e quelle che necessiterebbero di investimenti. Tranne che per qualche obiettivo non esiste alcuna valutazione di fattibilità anche economica delle proposte, necessaria per evitare che un concorrente sindaco metta in ridicolo il progetto tacciandolo di essere un “bel sogno sganciato dalla realtà”.

Vorrei cominciare dal secondo punto.
Non sono un sociologo, ma Palermo mi appare una città molto complessa ove un vasto strato popolare, in parte formato da palermitani da generazioni sganciati dalla provincia in parte da inurbati da una o due generazioni che continuano a mantenere rapporti con le aree di origine e di recente da numerosi extracomunitari, interagisce con una piccola-media borghesia prevalentemente impiegatizia (impiegati statali, provinciali, comunali, personale sanitario, persone che gravitano intorno ai tribunali, commercialisti, insegnanti) o di piccoli commercianti con disponibilità economiche ridotte, anche essa in parte erede della vecchia borghesia e della vecchia nobiltà in parte di più recente costituzione, mentre la grande borghesia che potrebbe avere più consistenti disponibilità economiche è quasi inesistente. Questa situazione limita la vivacità economica della città e rende difficile immaginare che consistenti attività economiche possano svilupparsi nel breve periodo. L’attività ed il pensiero di buona parte di questa città è più o meno legata a sentimenti di sfiducia, di rassegnazione, di legame o di interazione con la malavita, di attesa e i ricerca di azioni clientelari che permettano di “andare avanti”. Deve essere chiaro che una delle basi del programma è l’idea di modificare entrambe queste situazioni, unendo quella parte della borghesia progressista a quegli strati popolari oppressi dal sistema politico-malavitoso. Gli strati popolari onesti per coinvolgersi in un tale progetto devono percepire, oltre che l’onestà ed eticità dei proponenti, la presenza di un progetto dirompente, chiaro, realizzabile e dal quale potrebbero avere garanzie per migliorare la loro condizione, tanto da rischiare lo scontro con la controparte che li ha finora oppressi. Sulla base di questa breve analisi emerge che pochi punti del progetto sono dedicati ad un’ipotesi di sviluppo economico innovativo che possa concretamente invertire lo stato di progressivo degrado della città.

Riprendiamo allora il primo punto di riflessione. L’attuale crisi sociale ed economica del mondo nata “dalla caduta del muro di Berlino” deriva da alcuni fattori strutturali al sistema capitalistico: da un punto di vista economico la ridotta necessità di concentrare la produzione sugli armamenti (con alcune evidenti eccezioni) e la liberalizzazione del mercato a tutto il pianeta ha portato ad una grande concorrenza economica tra paesi tradizionalmente a capo del sistema capitalistico (Stati Uniti ed Europa) e paesi che in passato erano chiusi a tale sistema (Cina, Russia, India) basata sulla capacità di produrre più ed a meno prezzo (aumentando l’efficienza delle macchine, riducendo il costo del lavoro, riducendo i controlli per lavoratori ed ambiente), da un punto di vista sociale questo completo liberismo globalizzato del sistema capitalista è stato finora condiviso da parte della popolazione convinta ad arte che l’eliminazione di qualsiasi tipo di controllo all’attività delle persone avrebbe condotto ad una maggiore diffusa capacità di creare e ad una maggiore possibilità per tutti di accumulare capitale. In realtà, come prevedibile, tutto ciò si è rivelato una falsa attesa perché quello che è accaduto è lo sviluppo di procedure illegali di investimento dei capitali, la saturazione dei mercati, il rapido esaurimento delle fonti energetiche, il continuo inquinamento del pianeta. Naturalmente i paesi inizialmente più poveri  (Cina, India, Brasile) hanno avuto maggiore facilità a crescere in questa situazione, avendo lavoratori abituati a condizioni di vita ed a diritti decisamente inferiori rispetto a quelli delle nostre aree. Questa condizione sta conducendo ad una progressiva perdita dei diritti dei lavoratori dei paesi occidentali, con un progressivo impoverimento anche della media e piccola borghesia e con una concentrazione di capitali nelle mani di pochi grossi capitalisti. Ancora è come se il modello organizzativo autocratico della Cina potrebbe divenire modello di riferimento in alcuni paesi occidentali, che appaiono sempre più assolutisti nei loro comportamenti.
Allora, anche in un programma per gestire una pur importante città della Sicilia, non possiamo non relazionare le nostre proposte a tali situazioni e proporle come ipotesi di soluzione locale di tali problematiche.    
Non so se concordiamo che i principi alla base della nostra proposta sono:
1)      vivere in una società dove vi sia una libera possibilità di produrre e di guadagnare, rispettando alcuni parametri quali rispetto del bene comune, rispetto dei diritti della persona, produzione commisurata alla necessità e non necessità indotta dalla produzione, regolamentazione dell’entità delle differenze economiche tra le persone.
2)      vivere in una società ove venga favorita e premiata l’eticità dei comportamenti, la partecipazione dei cittadini nella gestione del bene comune, la pacifica convivenza di persone di cultura e credo diversi, la diffusione capillare della cultura
Se condividiamo questi principi, quelli insiti nel primo punto forse andrebbero più esplicitati (ad esempio è necessario pianificare attività locali per rendere convenienti le attività economiche locali rispetto ai cartelli globalizzati).

Venendo allora al terzo punto della riflessione, di seguito alcune riflessioni inerenti i vari punti del programma
a)      proponiamo un innovativo sistema di partecipazione al governo della città (in tale ambito un dubbio legato alla mia ignoranza amministrativa: è possibile per un sindaco ed un consiglio comunale monitorare e lottare l’evasione fiscale o questo è in atto una funzione dell’Agenzia delle Entrate?)
b)      proponiamo alcune iniziative per far uscire i palermitani dalla loro crisi economica. Questo è uno snodo centrale nell’immaginare il modello di città che vorremmo e che, come dicevo prima, andrebbe strutturato meglio per punti che permettono introiti o risparmi e che facilitano l’occupazione e punti che necessitano di risorse, valutando se gli introiti coprono gli investimenti. 
a.       La Città delle identità, dei quartieri dei borghi fa riferimento alla riqualificazione dei mercati storici e rinvia ad un allegato ove sostanzialmente viene presentato un progetto per la risoluzione del problema case attraverso gli immobili del comune. Riqualificare i mercati storici è un’importante operazione nella logica di recuperare aree antiche della città alle loro funzioni originarie sottraendole al degrado sia con una funzione culturale che economico-turistico. Ma perché questo possa avvenire, se rimaniamo nella logica del libero mercato dovremmo sperare in sostanziali modifiche di fruizione da parte dei cittadini e dei turisti che necessitano di tempi lunghi, altrimenti andrebbero attivate delle procedure di sgravi fiscali che consentano a chi parteciperà a tali attività di contrastare la concorrenza di supermercati-ipermercati-superipermercati, operando quindi in un mercato controllato. Questa parte, forse la più importante del punto, è solo indicata ma non sviluppata. La gran parte di questo capitolo è dedicata all’Housing sociale. Complesso è il fenomeno della riqualificazione abitativa delle aree del centro storico per il quale viene proposto l’housing sociale. Non so se quest’approccio sia il migliore, ma mi interrogo su quale sia l’obiettivo che vogliamo raggiungere nell’ambito della “Città delle identità, dei quartieri e dei borghi” a parte quello di fornire case a tutti. Infatti una riqualificazione del centro storico dovrebbe spingere le persone con maggiori disponibilità economiche a riabitarlo perché sono quelle che possono nel tempo caricarsi della sua manutenzione. Di questo obiettivo dovrebbe tener conto qualsiasi progetto casa che nell’ambito di un mixing tra famiglie di diversa condizione abitanti nella stessa zona  dovrebbe favorire un rapporto maggiormente a favore delle famiglie benestanti nelle zone del centro storico e maggiormente a favore delle famiglie meno abbienti nelle zone meno centrali. Tutto ciò non è discusso. Infine in questo allegato vi è una tabella sulle problematiche rilevate nella città la cui risoluzione necessità di denaro che bisognerebbe chiarire come ottenere e la cui tempistica forse è un poco sottodimensionata. Un aspetto per nulla affrontato è quello della necessità in alcune parti del centro storico di aumentare gli spazi non occupati da costruzioni e della loro sostituzione con spazi verdi. Ancora per nulla trattato l’aspetto della viabilità che soprattutto nel centro storico costituisce un problema per la vivibilità di queste aree.
b.      La Città del Sole, questo è uno dei punti dal quale dovrebbero arrivare molti risparmi quotidiani, che potrebbe portare ad un certo incremento di occupazione e ad un certa movimentazione di denaro e che identificherebbe uno dei cardini del modello di Città che noi vorremmo. Per quello che posso capire mi appare ben sviluppato.
c.       La Città del Mare, mi sembra un lungo elenco di desideri e di dichiarazioni di principio con necessità di spese che non si capisce come dovrebbero essere coperte. Un punto chiave che secondo me dovrebbe divenire centro di questa parte sono gli sgravi fiscali per le attività connesse al turismo a fronte però di una verifica del miglioramento dei servizi per i turisti. L’indicazione della necessità di sviluppare attività culturali che permettano un turismo più stabile (Cantieri della Zisa, Fiera)  andrebbe forse inserita nel capitolo Città della Cultura.
d.      La Città del Recupero, altro caposaldo del modello della città che vorremmo che come la Città del Sole potrebbe portare ad incremento di occupazione, specie se si stimola la nascita locale di un’industria di trasformazione e risparmio ai cittadini tramite la riduzione o cancellazione della TARSU. Traccia i punti importanti, ma da qui alle elezioni dovrebbero diventare proposte di legge. In qualche punto forse bisognerebbe essere più elastici, poiché proporre un nuovo modello di città non deve troppo confliggere con sostanziali maggiori comodità (ad es.la reintroduzione di assorbenti lavabili mi sembra un poco fuori dal mondo, forse potrebbe essere possibile l’uso di assorbenti a diversa composizione).
e.       La Città della Storia, dell’Arte e della Cultura, punto importante per il trasmettere la memoria di chi siamo, per creare e per il Turismo, punto molto vasto, che anche qui necessita di molti investimenti. Per vari aspetti è ben sviluppato, ma non affronta minimamente l’aspetto economico.
f.       La Città della Pace e della diversità culturale appare ben sviluppato. Forse potrebbe esistere un Assessorato che si occupi di ciò.
g.      La Città dei Bambini, va bene, anche qui bisognano investimenti.
h.      La Città dei Talenti, qui bisognerebbe capire con quali strumenti il comune potrebbe intervenire, poiché a livello nazionale vi è un totale disinteresse verso le attività di ricerca di base ed applicata e verso la produzione di cultura, mentre la dinamicità di una società deriva proprio da questo aspetto. Qui forse andrebbero indicate delle scelte per comprendere quali aree interessano più la nostra visione di comune.
i.        La “Città della Religiosità”, questo aspetto sembra in parte un duplicato  della “Città della Pace e della diversità”. Alternativamente questo punto andrebbe definito “Città della Religiosità e dell’Ateismo” dal momento che anche questo tipo di incontro andrebbe favorito nella logica di una società laica quale dovrebbe essere, e forse non sempre è,  quella nella quale ci troviamo a vivere. Tra l’alto chiarire questo aspetto appare necessario per meglio definire la base elettorale di questo progetto.
j.        La Città dell’Equità e della Giustizia Sociale, del “Bene Comune”, del tutto condivisibile quanto scritto da Angelo. Bisogna capire come monitorare che tutto ciò venga da tutti realmente messo in atto.

In conclusione, un progetto per molti versi innovativo ma un poco sbilanciato nell’elencare un elevato numero di modifiche da fare senza chiarire adeguatamente come finanziare questi cambiamenti (sono indicate le Energie Alternative, le Attività di Recupero ed il Turismo). Vi è una parte della Città dei servizi ove si parla dei Servizi alle piccole-medie imprese e si parla di una consulta e di defiscalizzazioni, ma non si chiarisce che se si vuole un modello di città diverso, forse alcune attività andrebbero privilegiate rispetto ad altre per permettere che il modello di Città si realizzi (penso ad esempio al contrasto tra ditte artigiane, produzione agricola locale, produzione agricola locale biologica da un parte e supermercati/ ipermercati/cartelli dall’altra, penso al contrasto tra ditte che producono energie non inquinanti e quelle che producono energie inquinanti).
Un altro aspetto che concerne il rispetto dei diritti dei lavoratori nel commercio è quello della totale liberalizzazione dei giorni e degli orari di apertura degli esercizi che, partorita nella logica del liberalismo, crea un notevole sfruttamento dei dipendenti ed una grande difficoltà nel mantenere in vita le attività quando esista un’eccessiva concorrenza non regolamentata, favorendo anche l’apertura di un nuovo canale di intervento per le attività mafiose con l’inutile ed incredibile apertura di più esercizi della stessa tipologia a poca distanza l’uno dall’altro, mentre magari in altre zone della città non si trovano esercizi dello stesso tipo.

                                                                                 dr Giuseppe  Salemi



GEntile dr  Giuseppe Salemi

Ti ringraziamo per  la  bella  e  articolata  analisi e riflessione che  hai  voluto proporci.
Certamente    presenteremo questo contributo   nel corso  dei lavori di  stesura  del programma  di mandato  per il sindaco e per il governo di questa  citta' .
Molti sono i punti di possibile  ulteriore sviluppo nei passaggi che  tu  acutamente  metti in rilievo e  rappresenti .
Per correttezza e'  doveroso  sottolineare che  altri importanti argomenti  sono ancora  nella  bozza trattati solo per rimando ad altri  documenti allegati ,gia' pronti ma  non ancora integrati.Da  questo fatto  contingente deriva la  giusta  osservazione  dell'apparente assenza  di trattazione di alcuni temi o il poco rilievo  dedicato .
Gia'  domenica prossima  ,dopo la  presentazione  alla stampa  e  alla  cittadinanza ,pubblicheremo su questo  nostro  blog di Voci Attive  un primo  documento  ufficiale  piu' integrato e completo.
Nello spirito partecipativo di Palermo Piu' e  Voci  ATtive il programma  sara'  aperto  ai  contributi  e  ai  miglioramenti  desiderati  dai cittadini . ..fino al momento prima  di entrare  nel seggio  elettorale !
 I cittadini  di PAlermo  sentiranno  questo  scritto  non come  un coacervo di impegni e di  sogni  distanti  e  irrealizzabili ma  come un progetto    di citta' da loro stessi  pensato e  fortemente  desiderato  e  che  per  cio'  sara'  sentito da  ciascuno  come  personale e " proprio"  dalla  comunita' tutta.
A  cio' serviranno gli  incontri  previsti  con e tra  la  gente  sulle  strade,nel territorio,dove  lavoreremo  senz'altro  insieme  a  Te .
Grazie per la  Tua  costante attenzione .
Cari  saluti

                                                           La  redazione
                                                       del Blog Voci attive


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